Un imprenditore che desideri sfruttare questo sistema a fini promozionali per l’azienda, quindi in qualità di strumento di marketing, deve mettere in conto anche un’eventuale tassazione cashback che lo riguarda?
È ben evidente infatti che, chi opera nell’ambito del commercio elettronico, deve tenere in considerazione diversi fattori, prima di avviare un’iniziativa o una promozione.
Se l’impresa vuole sfruttare il cashback per attirare nuovi clienti, deve solo mettere in conto una percentuale di rimborso sugli acquisti? Oppure deve prevedere anche una trattazione tributaria per il ricavato?
In questo articolo, illustriamo lo strumento del cashback, con focus sul suo funzionamento e le risposte riguardanti gli aspetti tributari da tenere in considerazione.
Cashback, cos’è
Questo strumento di marketing ha raggiunto l’apice del successo grazie alla formula del cashback di Stato, approvato dal governo Conte, con la legge di bilancio 2020.
In realtà si tratta di una modalità di fidelizzazione della clientela ben nota in ambito marketing, fin dal 2003. È un imprenditore austriaco, Hubert Freidl, ad aver avuto l’idea di realizzare una piattaforma per fare acquisti, con un incentivo per gli acquirenti e un ritorno di visibilità e fatturato per le aziende venditrici.
Il termine inglese cashback, alla lettera, significa denaro contante che torna indietro. Grazie a questo incentivo, i clienti hanno interesse ad acquistare sempre dallo stesso circuito, così accumulano punti e migliorano il loro status di compratore, ottenendo sempre maggiori percentuali di rimborso e agevolazioni.
D’altra parte, l’azienda ci guadagna perché, inserendosi in un circuito di questo genere, aumenta la visibilità dei propri prodotti, che il consumatore finale predilige rispetto ad altri proprio perché prevedono un cashback sul loro acquisto.
Come funziona il cashback
La formula è ormai molto diffusa ed è possibile sfruttare il sistema anche per quanto riguarda gli acquisti online.
Comprando quindi prodotti o servizi che prevedono tale formula, il consumatore finale ottiene un rimborso in percentuale variabile, di solito compresa tra 2-5%, che può aumentare man mano che si effettuano acquisti.
L’azienda interessata a entrare nel circuito si definisce merchant e può diventare partner commerciale della rete, per aumentare il numero dei clienti e fidelizzarli.
Il vantaggio principale sta nel fatto che, entrando a far parte di un network di brand, e-commerce e vari negozi convenzionati, sfrutta in maniera diretta tutto il bacino d’utenza di quel portale di cashback.
Il consiglio è di affidarsi a un consulente per la scelta del circuito giusto al quale affiliarsi. Innanzitutto, non tutti accettano in maniera indistinta nuovi merchant. Inoltre, bisogna selezionare la rete più in linea con le proprie necessità di vendita, a seconda che il negozio sia presente sul territorio o svolga la sua attività solo online.
Gli obblighi contrattuali sono nei confronti dell’intermediario ovvero del portale che gestisce il cashback e che prevede il pagamento di commissioni sugli acquisti.
Tassazione cashback: la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate
L’azienda quindi, che è interessata a investire in un sistema di cashback, come deve giustificare questi pagamenti verso i propri clienti? Quando queste somme di denaro si classificano senza dubbio come reddito o guadagno?
È proprio l’Agenzia delle Entrate a pronunciarsi in merito, con una risoluzione che riguarda per l’appunto, la tassazione tributaria del cashback.
Ne consegue che, nel caso di specie, il cashback corrisposto non rientra in nessuna delle categorie reddituali previste. Si tratta dell’articolo 6 del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Tuir). Pertanto non risulta assoggettabile ad imposizione.
Questo sta a significare che, nel caso una società operante nell’ambito dell’e-commerce utilizza la formula del cashback, mette a disposizione del cliente finale una percentuale variabile (a seconda di quanto stabilito) di rimborso, sugli acquisti effettuati.
Ora, tutte le somme restituite grazie al cashback, come stabilito dalla risoluzione dell’Agenzia delle Entrate, sono esenti da tassazione. In questo contesto, se il cashback costituisce un incentivo alla vendita e prevede una restituzione di una parte del denaro speso, allora non è da tassare.
E pertanto, l’impresa non può applicare la ritenuta su tali importi.
Quando il reddito va dichiarato e si verifica tassazione cashback?
C’è invece un caso specifico in cui il cashback diventa guadagno da portare in dichiarazione dei redditi, e quindi soggetto a tassazione.
Nella fattispecie, il riferimento è alla formula “porta un amico”. Se il servizio di cashback, nel momento in cui “fa guadagnare” all’impresa un nuovo cliente, contribuisce a creare reddito, allora la somma restituita è soggetta a tassazione.
Nello specifico:
In alcuni casi, il cashback può rappresentare una forma di pagamento per l’adozione di uno specifico comportamento. È il caso ad esempio, di aver portato un nuovo cliente. Allora si costituisce una forma di reddito che rientra nell’articolo 67, comma 1 del TUIR.
In conclusione, si distingue tra il cashback che rappresenta un costo legato alla promozione del brand e le somme invece da restituire solo a condizione di portare un nuovo cliente all’azienda, il quale a sua volta diventa fonte di guadagno per quest’ultima.